La scorsa settimana il ministro vietnamita dell'Informazione e delle Comunicazioni ha annunciato l'introduzione di un decreto che limiterà la libertà d'espressione sui siti internet locali.
La denuncia è partita da esponenti del Viet Tan (Việt Tân), il movimento a favore dei diritti civili ed umani dichiarato fuorilegge dal governo di Hanoi. Le nuove norme prevedono per gli utenti di internet l'impossibilità di registrarsi presso un qualunque sito utilizzando nomi falsi o pseudonimi, di scrivere alcunché di diffamatorio o comunque in opposizione al governo, l'obbligo di identificarsi con nome e cognome qualora conduttori di blog. In tal modo chiunque osasse criticare l'operato del governo, verrebbe immediatamente identificato, con le ovvie conseguenze del caso. Il decreto prevede inoltre che i nuovi siti necessitino dell'approvazione delle autorità, ma tocca anche le compagnie IT straniere, oltre a quelle locali. Esse infatti saranno tenute a collaborare col governo allo scopo di fornire informazioni utili a tracciare e rintracciare i propri utenti macchiatisi dei succitati "crimini"; allo scopo, potrebbero essere forzate ad installare i propri data center all'interno dei confini del paese. Una nuova arma nelle mani del governo per combattere il dissenso, già duramente provato dalle incarcerazioni dei tanti blogger ed attivisti. Il decreto, attualmente ancora in bozza, potrebbe venire approvato già a giugno di quest'anno.
Si tratta di regole palesemente censorie, che ricordano da vicino quelle della Cina. Due paesi che non si sono mai amati molto, nonostante un'apparente vicinanza ideologica, e che recentemente si sono ritrovate divise a causa delle rispettive rivendicazioni territoriali sull'arcipelago delle Isole Spratly (Quần Đảo Trường Sa in vietnamita). Ora tuttavia si ritrovano sotto lo stesso ombrello, fatto di censura e controllo dell'informazione, divenuto più pressante per timore della possibile influenza della primavera araba.
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