Il Dipartimento di Giustizia USA chiede a Twitter qualche soffiata su Wikileaks & C.

Inviato da harvey lomax il Lun, 01/10/2011 - 22:36
Argomento
Il Dipartimento di Giustizia americano ha richiesto a Twitter, il noto sito di microblogging, i dati relativi a cinque persone presumibilmente coinvolte con Wikileaks. Secondo le indiscrezioni, sarebbero stati richiesti indirizzi IP dei collegamenti relativi a quegli account, numeri di telefono, carte di credito, indirizzi di posta elettronica e file trasmessi. I soggetti interessati, sempre secondo indiscrezioni, sarebbero Julian Assange, uno dei fondatori del sito di soffiate attualmente in libertà vigilata a Londra, l'ex soldato USA Bradley Manning, che secondo le accuse avrebbe fornito a Wikileaks l'enorme mole di documenti che fecero saltare sulla sedia l'intero Dipartimento di Stato americano ed in generale tuto l'apparato politico militare; poi vi sarebbero due programmatori, Rop Gonggrijp e Jacob Applebaum, rispettivamente olandese e statunitense. Dulcis in fundo, il Dipartimento di Giustizia vuole anche i dati di Birgitta Jonsdottir. Chi è costei? Nientemeno che una deputata del Parlamento islandese. Inutile dire che appena giunta la notizia la donna si è subito scagliata contro le pretese del Dipartimento, affermando che si è veramente superato il limite. Come darle torto, un organo di una nazione che chiede ufficialmente informazioni private su di un politico di un altro stato, è abbastanza per far scattare una crisi diplomatica! Pare che la legge federale degli Stati Uniti possa passare sopra chiunque e qualunque cosa, i suoi rappresentanti si ergono a sceriffi di tutto l'Universo. Poco importa se gli indagati non sono cittadini statunitensi, né lì risiedono. Le aziende americane sono tenute per legge a fornire i dati richiesti, la parlamentare islandese ha ora circa una settimana di tempo per opporsi all'ordinanza attraverso vie legali. Oltre alla questione dei rapporti fra due nazioni, siamo dinnanzi all'ennesimo paradosso politico - legislativo: gli Stati Uniti possono richiedere dati privati, apertamente o sotto banco, di chiunque a qualunque azienda americana e non che operi sulla rete globale; non solo aziende come Google o Yahoo, per intenderci, ma anche le banche europee forniscono continuamente i dati dei propri clienti agli Stati Uniti (accordo Swift ed altri, vedi http://privacy.blogosfere.it/2007/04/unanalisi-a-tutto-campo-delle.html). Viceversa, quando qualcuno, privato, istituzione, giudici, magistrati, forze dell'ordine, piuttosto che rappresentanti ufficiali di altre nazioni, richiede dati alle aziende americane per fini leciti (indagini giudiziarie ad esempio), queste si trincerano sempre dietro alle leggi statunitensi, spalleggiate più o meno direttamente dal governo, che mantiene così l'esclusiva sui dati privati conservati dalle aziende. Si pensi ad esempio a quando la magistratura italiana ha richiesto a Youtube i dati di chi aveva postato video rappresentanti atti di bullismo. Ora viene da domandarsi, cosa sarebbe accaduto se la richiesta a Twitter fosse venuta da un giudice cinese od iraniano, per un dissidente? Ovviamente tutti, dall'azienda interpellata al governo USA ai venditori di hotdog di Manhattan si sarebbero eretti a difesa dei diritti di utenti ed aziende. La disparità d'intenti e trattamento è talmente lampante da sembrare surreale. Eppure in pochi se ne curano, nessuno si scandalizza. Così tutto ciò che passa attraverso i server di qualche azienda americana può essere richiesto in ogni momento da un qualunque giudice che ha dormito male. Tutto ciò non accade da oggi, né da ieri. Viene allora da chiedersi come mai in tanti, in troppi, affidino le proprie confidenze, le proprie vite a soggetti che vanno sbandierando i dati dei propri utenti ai quattro venti. Soprattutto quando poi si tratta di persone che conoscono la rete e le sue dinamiche come le proprie tasche o quasi, come Julian Assange. Certo, i siti di social network hanno l'indubbio vantaggio di riuscire a diffondere qualunque notizia a macchia d'olio, ma non esistono solo Twitter o Facebook, ci sono in giro servizi magari meno conosciuti o diffusi ma più sicuri dal punto di vista della privacy. Wikileaks non ha certo bisogno di Zuckenberg e soci per raccontare al mondo le proprie storie, semmai sarebbero in molti che arriverebbero anche a pagare per avere tra i propri utenti individui che stanno riscrivendo la storia dell'informazione mondiale.