Argomento
Pace fatta tra Google ed il governo cinese. Quest'ultimo ha rinnovato la licenza per poter operare in Cina alla casa di Mountain View, per un altro anno, fino al 2012. La precedente concessione era scaduta nei giorni scorsi, ma le voci che si rincorrevano sulla rete erano ottimistiche, nonostante la bufera che investì i due contendenti, e non solo in merito alle intrusioni avvenute sui server di Gmail ed altrove, provenienti da terminali operanti sul ruolo della Repubblica Popolare. Fino a qualche settimana fa, Google redirigeva il traffico del proprio sito google.cn sui servers di Hong Kong, dove la censura è più leggera, dati gli accordi pattuiti in seguito alla cessione dell'ex colonia britannica. Ora invece google.cn fornisce alcuni servizi di base ed i risultati delle ricerche sono, come prima, filtrati secondo le richieste del regime. E' stato comunque mantenuto sulla home page un link a google.com.hk, qualora gli utenti volessero disporre di risultati di ricerca non filtrati. Tutto bene ciò che finisce bene? Non tanto. Il governo cinese infatti, viste le mosse della grande G, ha pensato bene di filtrare ulteriormente le connessioni provenienti da Hong Kong, oltre che dall'estero come già accadeva. In tal modo, un utetne che si trova a Pechino può utilizzare il server google.com.hk che si trova ad Hong Kong, ma qualora i termini della ricerca rientrassero nella black list del regine, questi verrebbero filtrati nel momento in cui essi transitano dall'ex colonia alla madrepatria. Così facendo tutti e due i contendenti possono dire di non aver ceduto, ma agli effetti non è proprio così. Google alla fine si è piegata al regime, deludendo dissidenti ed oppositori. Certo, rimangono sempre altri modi per aggirare i filtri governativi, ma la società americana ha perso una buona occasione per dimostrare sul campo la più volte sbandierata presunzione di diversità rispetto alle altre, dove si ragiona solamente in termine di profitti. Il motto "Don't be evil" evidentemente non basta più.
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