Argomento
Proseguono ormai da alcuni giorni i disordini in Tibet, dove monaci e simpatizzanti protestano contro il governo cinese. Le manifestazioni, inizialmente pacifiche, hanno in seguito assunto un carattere violento ed ora gli scontri non si contano più. Da un lato i manifestanti accusano polizia ed esercito di brutalità e di sopprimere le proteste nel sangue, dall'altro lato il governo cinese accusa la cricca del Dalai Lama di aver sobbillato la popolazione e di aver provocato i disordini, danni e feriti. La Cina ha promesso il pugno di ferro ai manifestanti che non si consegneranno alle autorità, mentre da occidente proviene una comune richiesta di moderazione, ma Pechino non tollera interferenze in quella che considera una questione interna. Intanto, secondo fonti vicine al governo tibetano in esilio, i morti sarebbero centinaia.
In rete sbucano ovunque articoli e testimonianze di persone che da quel luogo remoto riescono a far giungere la loro voce. Tra questi anche alcuni Italiani, che parlano di carneficina.
Timori sono stati espressi in occidente, dove si pensa che dopo la scadenza dell'ultimatum delle autorità ai rivoltosi, possa scattare una dura rappresaglia.
Mentre in Tibet la gente muore, in Cina si sprecano le trasmissioni in cui viene ribadito che lo sport non dovrebbe essere influenzato dalla questioni politiche, con chiaro riferimento alle olimpiadi: ciò significa che nonostante la sicurezza ostentata dal governo comunista, qualcuno teme possibili ritiri dai giochi olimpici. Contemporaneamente comunque, molte nazioni dichiarano che la rivolta tibetana non cambierà la loro decisione di prendere parte ai giochi. Già, perché le olimpiadi sono un affare grosso. La rivoltà finirà anche stavolta. Ed anche stavolta correrà altro sangue. Fino a quando le due parti non capiranno che è molto meglio fare l'amore, che non la guerra: credetemi, molto meglio avere una pistola in mano che non alla tempia...