Racconto di Natale 3007

Inviato da Anonimo (non verificato) il Mar, 12/25/2007 - 23:18
Argomento

Racconta solo ciò che desiderano sentire: diverrà “La Verità”. G. Bertelsson

Cari bambini, è giunto il Santo Natale e puntuale come la morte ecco la mia storia a ricordarvi che presto saremo tutti cenere o, nel peggiore dei casi, guano. Quello che vi racconterò è successo tanto tempo fa. Non so se sia vero. E nemmeno mi interessa saperlo. È solo una storia. Me l’ha raccontata un tale, incontrato per caso. Veramente qualche particolare già lo conoscevo: voci, leggende traghettate con nostalgici passaparola attraverso le nebbie del tempo. Narravano del fantacalcio, che in un’epoca imprecisata pare fosse l’unico sollievo per i popoli oppressi. Sin da ragazzo ascoltavo gli anziani parlarne e mi figuravo sfide tra gloriose squadre condotte da fanatici idealisti. Doveva essere una specie di sport. Adesso voi bambini giustamente mi chiederete: «Che cos’era uno “sport”?» Bene, lo sport era un gioco in cui uno vince e gli altri rosicano. Solo che ora voi chiederete che cos’era un “gioco” e io dovrei spiegarlo e… Insomma capite che entreremmo in un loop insopportabile. Invece dei soliti videogame per dementi (che sono roba da grandi), questo Natale fatevi regalare un bel Dizionario dei Termini Desueti. Così potrete comprendere quanto uno vi sta dicendo senza interrompere con domande cretine. Allora, vi dicevo di queste antiche cronache. Sanguinosi duelli, alleanze e tradimenti, faide familiari rendevano avvincente questa sorta di torneo medievale, denominato non so per quale ragione Leovardo. Fin qui quello che sapevo io. Poco, per la verità. Poi tempo fa incontrai in una bettola questo tizio male in arnese, una sorta di clochard. Importunava i presenti, pretendeva che gli fosse offerto da bere asserendo d’esser stato un tempo il presidente dell’Aurorense. Sapete, ne girano di matti, e i suoi mi parvero i soliti deliri da alcolizzato. Ma era una serata parecchio noiosa così mi venne naturale offrirgli da bere. Che volete, meglio ascoltare qualche fandonia inverosimile che starmene tutta la sera a fissare il culo della cameriera cinquantenne. Abbastanza simpatico, il tipo, non fosse stato che ogni tanto tirava fuori una sigaretta per accendersela. Ma che cazzo! Non volevo certo finire nel braccio della morte solo perché un mezzo matto credeva di essere ancora nel 1998! Per farlo desistere gli offrii un po’ di cocaina ma educatamente mi disse di inserirmela su per il buco della stufa. Se tralasciamo questo spiacevole vizio, la sua compagnia non era malaccio e quello che raccontava era se non altro singolare. Ad ogni giro di whisky le sue storielle si facevano più convincenti. Chissà, forse perché anch’io non bevevo meno di lui. «E così eri presidente…» – lo canzonai. «Perché, non si vede? In realtà ero il sovrano assoluto della mia squadra. Non ho un portamento regale? » Prese a parlare degli albori del Leovardo. Delle sanguinose sfide tra la sua squadra e la Luculliana. Delle funamboliche gesta della Dinamo Finger, una squinternata formazione di avvocati marxisti esiliati dall’ex Unione Sovietica. Delle leggendarie imprese dei Gechi Varianti, il cui proprietario era un folle editore orientale amante della libertà di pensiero. Lo interruppi: «Si dice che andare a giocare nel loro stagno fosse sano quanto un picnic in riva allo Stige.» «Mah, forse per i comuni normali. Per noi era un picnic e basta.» L’alcol lo rendeva guascone. Continuò con l’evocazione di quei tempi romantici e pionieristici. Tra aneddoti pseudosportivi e piccanti gossip sulla vita privata dei Gechi, la narrazione era intanto giunta alla fine dell’era Aurorense ed al subentrare del nuovo che avanzava: l’Imperial Vega. La dirigenza di questa fantasquadra ne garantiva una gestione perfetta, giovandosi dei mezzi tecnologici più avanzati, attuando il giusto compromesso tra vecchi valori e modernità. Insomma era una macchina perfetta. Acquistarono grandi campioni, il miglior portiere del mondo. Non potevano che divenire la squadra dominatrice del Leovardo. A questo punto il babbeo cominciò a perdere l’iniziale buonumore. Lì per lì pensai fosse effetto dell’alcol ingurgitato ma anche il tono del discorso si fece cupo seppur ancora lucido. «La Storia ancora una volta avrebbe imposto la sua fetida legge. Anche quest’epoca eroica era destinata ad essere travolta, sostituita dalle barbare logiche del progresso e del mercato.» – sentenziò. In breve mi descrisse come le forze del male avessero fiutato l’affare. Non ci volle molto perché stravolgessero il fantacalcio. In pochi anni divenne un grande business che esigeva cambiamenti e rivoluzioni culturali da dar in pasto alle masse noiose ed annoiate, smaniose di sfavillanti novità. Non c’era più spazio per dirigenti vecchio stampo, compreso il beone di fronte a me. «Eravamo dei nostalgici» – continuò – «credevamo ancora nei gentlemen agreement, nella sana gestione economica senza indebitamenti; nella giustizia, nel Sacro Romano Impero ed in altre bagattelle anacronistiche. Altri si adeguarono, o provarono a farlo. I luculliani scelsero una strada che garantisse in ogni caso moneta sonante. Erano maestri nella gestione dell’immagine. Si dedicarono quasi esclusivamente alla Coppa Turacciolo, da loro stessi inventata, organizzata secondo le proprie esigenze e vinta regolarmente quasi tutti gli anni. Grazie al loro potere mediatico, il popolo bove fu presto convinto che il Leovardo era roba da poveracci. Solo la Turacciolo dava la “gloria”. Soldi e fama erano garantiti loro anche da altri tornei, a patto che si potessero completare in non più di un paio di partite. Vedi, l’età media della loro rosa sfiorava gli 83 anni e, per quanto tenuti in vita artificialmente da Lucullianlab, non potevano giocare più di tre, quattro partite a stagione. L’Imperial Vega resistette ai cambiamenti finché le fu possibile. Era la più forte sul campo, ma per questo anche la più odiata. Lobby avversarie arruolarono una schiera di personaggi discutibili per sferrare il prima attacco contro i vegani. Tossici ed ex tossici, allenatori falliti, nani e ballerine: ogni relitto umano, appartenente all’ambiente fantacalcistico e non, fu inviato in prima linea a combattere una vergognosa battaglia mediatica. A colpi di “si dice”, calunnie e insinuazioni la Vega fu trascinata in un ignobile processo-montatura. L’accusa iniziale di “somministrazione di bistecche di manzo” ai propri giocatori, rivelandosi palesemente infondata, si trasformò in “consumo abusivo e smodato di aspirine”. Erano imputazioni terribili ed infamanti. Gli avversari gongolavano: finalmente l’immagine della Vega sarebbe stata imbrattata di merda per l’eternità. Ma dopo anni di farsesca inquisizione i giudici dovettero prosciogliere i dirigenti vegani. Non poteva finire così. Un potentissimo trust economico-finanziario, che possedeva anche la S.G. Labenamata, scatenò l’offensiva finale.» Quel nome non mi era nuovo: «Ma non è la squadra che vinse 666 fantacampionati consecutivi?» «Sì, ma prima non vinceva mai un cazzo. Spendeva tonnellate di fantamiliardi per ingaggiare giocatori inutili. Crollava miseramente negli appuntamenti decisivi. Era lo zimbello dell’ambiente fantacalcistico. Le sue sconfitte erano divenute proverbiali sinonimi di inettitudine e psicolabilità. Senti un po’, ho la gola secca. Sto parlando troppo. Avrei bisogno di qualcosina da bere.» Pagai un altro giro. «Adesso sì che va bene» – riprese il “presidente” – «Allora, stavo dicendo? Ah, sì. Il gruppo di potere a cui apparteneva la Labenamata possedeva e gestiva, tra le tante cose, anche la compagnia di bandiera di piccioni viaggiatori. Allora era così che si comunicava. Controllare i simpatici volatili significava sapere i cazzi privati un po’ di tutti. E questo era utile contro qualunque avversario: fantacalcistico, politico, il tuo vicino di casa.» «Non mi sembra legale.» «Erano tempi in cui la legalità si plasmava a proprio uso e consumo. Un po’ come oggi.» Era troppo. Cominciai a pentirmi di avergli offerto da bere: «Hai bevuto troppo, amico.» – lo incalzai – «Una società privata non può spiare i politici o i cittadini comuni. Lo dice la parola stessa, sarebbe… spionaggio! Ma che cazzo vai raccontando!» «Puoi anche non crederci. A me basta che dopo paghi un altro whisky. Sta’ a sentire. Venne fuori che tra i dirigenti vegani e quelli del Leovardo c’era un po’ troppo svolazzare di fottuti pennuti. Sai come funziona, storie tipo: “Siamo tutti amici e amici di tutti. Un favore a te, due a me.” Così scoppiò la bomba. Che scandalo! Che vergogna! La gente insorse in un coro di “Lo dicevo io” e “Si sapeva già”. Quelli della Luculliana subito insorsero: “Allora abbiamo vinto noi gli ultimi leovardi!” Neanche il tempo di dirlo. Furono rintracciati dei piccioni con i loro colori sociali. Così il teorema era perfetto: colpiva le due storiche avversarie della Labenamata. Il popolino obnubilato non aspettava altro. Una nuova rivoluzione francese, un nuovo piazzale Loreto. Serviva giustizia sommaria. Le condanne furono durissime. L’organico dell’Imperial Vega fu completamente smantellato, la squadra venne retrocessa nella categoria inferiore; furono ordinate esecuzioni di massa dei suoi supporter, il suo nome vietato ai minori, i libri che ne narravano le insigni imprese bruciati nelle piazze gremite di folla inneggiante alla libertà.» «Spaventoso.» – sospirai – «E quegli altri, quelli che avevano fatto più o meno le stesse cose?» «La Luculliana fu addirittura costretta a vincere la coppa Turacciolo europea, quella mondiale e pure di tutte le Galassie. Davvero un duro colpo…» Istintivamente tirò nuovamente fuori una sigaretta. Provai a distrarlo: «La faccenda si fa interessante. E il Leovardo che fine fece?» «Ah, bravo. Il Leovardo…» – rimise distrattamente la sigaretta nel pacchetto, ma presagivo che sarebbe stata una tregua solo momentanea – «Dopo la “giustizia” andava ripristinata la “legalità”. A dirigere il Leovardo fu chiamato un ex dirigente sia della S.P.A (Società Piccioni Associati) sia della Labenamata. Costui assegnò il titolo a tavolino alla sua squadra.» «Eh, eh. Strano… E poi? Dopo com’è andata?» «È andata che se adesso non fumo ammazzo qualcuno. Poi ci facciamo un bicchierino e ti racconto il resto.» Il mio compare di bevute si alzò e si diresse verso il retro della bettola, all’aperto, per dar sfogo al suo basso istinto. Stavo ragionando su quanto fossero plausibili le sue storie e quanto a volte gli ubriaconi siano custodi di verità, quando percepii all’esterno un sibilo seguito da un tonfo sordo. Mi recai anch’io sul retro ma senza fretta: avevo già capito. Un cecchino aveva individuato il pericoloso sovversivo. La fiammella dell’accendino aveva tradito l’uomo che era stato il presidente dell’Aurorense. Ora giaceva a terra, tra i bidoni della spazzatura, con la cicca ancora stretta gelosamente tra le dita. Che idiota testardo. Avrebbe dovuto sapere che in prossimità di posti così c’è sempre qualche sniper salutista-governativo, appostato nel buio. Prima di abbandonare questa dimensione biascicò qualcosa a proposito di “pochi mesi alla pensione”. Non ci capii molto. Peccato. In fin dei conti avevo passato una buona serata. E così, bambini, questa è la vostra storia di Natale. Non è proprio quella che vi aspettavate, vero? Magari non la volevate sentire. Beh, chi se ne frega. Pensate che volevo raccontarvi quella del Castello Con Tanti Lati e Poche Torri. In fin dei conti vi è andata bene. Ah, dimenticavo: Babbo Natale non esiste.

Ogni riferimento a persone o avvenimenti reali è puramente casuale.

GHOST DOG