Lo scorso dicembre il governo del'India aveva richiesto alle aziende che forniscono servizi sul proprio territorio, di filtrare i contenuti indesiderati.
Facebook, Twitter, Google, Yahoo e tutti gli altri avrebbero dovuto rimuovere i contenuti postati dagli utenti e ritenuti blasfemi, osceni, pornografici, diffamatori eccetera, secondo i dettami locali. Ora le società interpellate hanno risposto che non intendono ergersi a poliziotti della rete. Facebook ha dichiarato che solo ciò che viene postato in violazione della propria policy viene automaticamente rimosso, non opinioni e commenti ritenuti potenzialmetne sovversivi o diffamatori. Dal canto suo, Google ha fatto sapere che solo un mandato di un giudice può portare alla rimozione di un contenuto on line.
La partita non si chiude comunque qui. Ora la palla passa nuovamente nelle mani dell'ineffabile ministro indiano per le Telecomunicazioni Kapil Sibal, fautore della censura. C'è da aspettarsi un atteggiamento simile a quello mantenuto nei confronti di RIM, con nuove pressioni sulle compagnie affinché assecondino i voleri di New Delhi. Alla fine si giungerà probabilmetne ad un compromesso, per cui tutti potranno dire di averla avuta vinta. Ma chi perde in questi casi, è sempre la libertà d'espressione.
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