Dopo l'attentato a Berlusconi, torna l'onda dei censori di internet

Inviato da harvey lomax il Lun, 12/21/2009 - 16:30
Argomento
Subito dopo il gesto inconsulto che ha portato al ferimento del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è iniziato il consueto vespaio di polemiche. Accuse reciproche da destra a sinistra, accuse di fomentare odio, violenza intolleranza. Quelle stesse virtù che da tempo sono il pane quotidiano della classe politica italiana, senza distinzione di partito. A ciò va assommata l'eco mediatica dell'evento, che altro non ha fatto se non inasprire i contrasti. Come avevamo previsto, l'evento non ha fatto altro che innalzare la popolarità della vittima, a discapito dei suoi avversari politici, definiti da qualcuno mandanti morali. Un accusa questa estremamente pesante, e riteniamo anche fuori luogo. Il clima d'odio che stiamo vivendo è frutto comune delle parti interessate, chi più chi meno, ma se questa è la situazione, è perché a qualcuno fa comodo. L'evento non ha fatto altro che fornire un pretesto. Come accade il 28 giugno 1914 a Sarajevo. Senza evocare nefasti accadimenti, ciò che accadde in quell'anno lontano non fece altro che spostare l'ago dell'opinione nel senso che sappiamo, ed il popolo, allora come oggi, facilone, infarcito di ideologie e privo di una coscienza propria, divenne burattino senz'anima nelle mani di pochi burattinai. Ogni qualvolta accade un evento tragico, il popolo si lascia travolgere da individui dalla facile dialettica, senza pensare alle conseguenze. In questi giorni, sull'onda emotiva dell'evento, ci siamo ritrovati nuovamente a dover constatare quanto il potere tenga al controllo di internet e dei suoi servizi. La comparsa sul social network Facebook di gruppi che inneggiavano al folle gesto ed al suo autore, come anche di aggregazioni di individui che gli auguravano una brutta fine, ha consentito a numerosi esponenti della maggioranza di tornare all'assalto per richiedere censure e controlli vari. Il Ministro dell'Interno Maroni ha dapprima paventato l'introduzione rapida di nuove regole che consentissero l'oscuramento di contenuti, diciamo così, invisi; poi è tornato sui suoi passi invitando alla discussione in Parlamento. Specifichiamo subito una cosa: chi scrive o ha scritto su Facebook o da qualunque altra parte frasi che possono essere inquadrate in un qualche reato NON è anonimo. La magistratura può infatti richiedere un'indagine alle forze dell'ordine, le quali possono a loro volta richiedere i dati di un certo utente al fornitore del servizio, in questo caso Facebook. Certo, il fornitore, non essendo sottoposto alla giurisdizione italiana, si può anche rifiutare, ma difficilmente non acconsentirebbe, in quanto potrebbe andare incontro anche ad un oscuramento totale del sito per gli utenti residenti in Italia, come già fatto precedentemente col sito The Pirate Bay ed altri. In tal caso andrebbe incontro a perdite economiche, che sono solitamente un buon incentivo per vuotare il sacco. Ergo, non sono necessarie nuove leggi per punire questo tipo di reato. Se la magistratura lo ritiene, può procedere autonomamente, non è certo il Governo o un ministro che ha il compito di decidere se è stato commesso un reato. Se così fosse, non avremmo solo magistrati che fanno i politici, ma anche politici che vogliono fare i magistrati. Tuttavia i solito noti hanno continuato a scagliarsi contro Facebook e la rete in genere. Ma a cosa servirebbe oscurare Facebook? A niente, gli utenti si sposterebbero su di un altro social network. Inoltre pare che la nostra classe politica non abbia ben chiara la distinzione tra quello che viene definito sito internet e le pagine invece create dagli utenti: vedi le dichiarazioni del Presidente del Senato Schifani: "Si leggono dei veri e propri inni all'istigazione alla violenza. Negli anni 70, che pure furono pericolosi, non c'erano questi momenti aggregativi, che ci sono su questi siti. Così si rischia di autoalimentare l'odio che alligna in alcune frange". Dunque, facebook.com è il sito internet di Facebook. Se si chiude, si impedisce l'accesso a milioni di utenti, anche quelli che parlano solo del proprio cane. Se invece si intende chiudere una o più pagine create dagli utenti, questo è possibile facendone richiesta al fornitore del sevizio. Facebook, come la maggior parte dei siti che offrono spazio ai navigatori, ha già all'interno delle proprie policies delle regole che vietano di immettere certi tipi di contenuto. Esso, come anche Google, Yahoo, Microsoft ecc, quotidianamente analizzano i contenuti all'interno dei propri siti per identificare eventuali violazioni. Quando queste vengono riscontrate, si invita l'utente proprietario a rimuoverli. In caso contrario, la pagina può essere rimossa ad insindacabile giudizio del fornitore. Come si può notare, gli strumenti per regolare i contenuti già esistono, non servono leggi ad hoc fatte da una classe politica generalmente ignorante in fatto di internet e delle sue dinamiche. Leggi che una volta entrate in vigore possono poi essere usate per scopi altri. Come accade in Cina, come accade in Iran, in Arabia Saudita, in Sudan ed in altri "paradisi della libertà d'espressione", dove per esempio si vieta l'immissione di contenuti che possano turbare l'ordine sociale; il loro ordine! Vogliamo dunque uniformarci a tali nazioni? Vogliamo essere annoverati nella lista nera dei nemici di internet, solo perché qualche migliaio di imbecilli ha scritto frasi reputate minacciose o violente, a fronte dei milioni di persone che non lo hanno fatto? La libertà ha un prezzo, ed è questo! Abbiamo visto che già ora, se c'è la volontà, è possibile individuare chi utilizza la rete per scopi illeciti. Inoltre, nel caso specifico, vi sono torti da ambedue le parti, perché se da un lato c'era chi su Facebook santificava l'attentatore Tartaglia, dall'altra c'era chi inneggiava ad azioni violente nei suoi confronti. Dunque le possibilità sono due: oscurare completamente il sito, oppure rimuovere tutte quelle pagine per cui venga riscontrata una possibile apologia di reato (cosa francamente poco attuabile, visto il numero). Ma come ha detto Pierferdinando Casini in Parlamento: "Guai a promuovere provvedimenti illiberali. Le leggi esistenti già consentono di punire le violazioni. Negli Usa Obama riceve intimidazioni continue su Internet, ma a nessuno viene in mente di censurare la Rete." Per non parlare delle altre nazioni. Per non parlare di tutti quei personaggi non appartenenti alla classe politica che vengono quotidianamente "minacciati" di morte perché sono tifosi di un'altra squadra o perché flirtano con nostra sorella. E che dire di quando un pirla ci attraversa improvvisamente la strada e noi lo mandiamo "a morire ammazzato"? Anche queste sono minacce di morte, magari pure in presenza di testimoni! Perché allora non prendiamo provvedimenti anche contro questi individui? Chi ci dice che lo spirito col quale vengono digitate alcune affermazioni su internet sia diverso dalle urla dell'automobilista arrabbiato? Se l'Italia è una democrazia, non può uniformarsi sull'onda emozionale di un evento, a quelle nazioni che censurano e controllano la rete. Gli strumenti legislativi costruiti oggi per un certo scopo, potranno essere in futuro utilizzati per accondiscendere interessi dei potentati (ed in Italia ne abbiamo molti), per tappare la bocca a coloro i quali non vogliono uniformarsi alle visioni del mondo di chi detiene il potere. Internet è nata libera e deve rimanere libera.