Argomento
Da oltreoceano arrivano segnali poco incoraggianti riguardo alla protezione della privacy di coloro i quali utilizzano internet. Pochi giorni fa l'amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, ha affermato che "Se non si ha voglia di far conoscere a qualcuno quello che si è fatto, forse non bisognerebbe farlo affatto", nel corso di una trasmissione televisiva. Lo stesso si era espresso in maniera diametralmente opposta anni fa, come riportato qui. Google, che tempo fa si ergeva a strenuo difensore degli internauti, da cui dipende il suo successo ed il suo guadagno, si sta confacendo sempre più alle pressanti richieste dei governi (tutti), nonostante le solite smentite del caso. Dalla Cina agli Stati Uniti, tutti vorrebbero poter disporre dei dati dei navigatori, dalla posta elettronica alle sessioni di chat, ai siti visitati, eccetera. Un conto è sfruttare i dati in proprio possesso per scopi commerciali, un altro è fornirli ai governi che spesso non li utilizzano per scopi legittimi. Molti vedevano in Google una compagnia diversa dalle altre, più attenta alle esigenze (non solo commerciali) degli utenti. Tuttavia secondo Asa Dotzler, sviluppatore di Mozilla Foundation (finanziata da Google per milioni di dollari), Microsoft sarebbe addirittura più attenta alla privacy degli utenti che non Google, ed avrebbe invitato a disinstallare il plugin di ricerca della stessa società installato nel browser Firefox, e di mettere al suo posto quello di Bing, motore di ricerca della compagnia di Redmond.Forse il successo dà alla testa, forse le speranze sono state disilluse. Vorremmo non fosse così, ma dove ci sono soldi, ci sono anche molti interessi di vario tipo. Ciò che Google ci offre ha un prezzo. Dobbiamo esserne consapevoli e valutare se ne valga la pena.
D'altro canto nemmeno le altre grandi compagnie dell'IT possono vantarsi di tutelare adeguadamente la privacy dei navigatori. Facebook, il famoso social network, ha recentemente implementato una serie di features che però secondo la Electronic Frontier Foundation spingerebbero l'utente, soprattutto quello meno esperto, nella direzione di consentire a tutti, come impostazione predefinita, l'accesso ai propri contenuti.
Che dire poi di Yahoo di cui è comparso un documento riservato sulle pagine di Wikileaks, in cui compare una lista di tutti i dati conservati e del periodo di conservazione? Il documento denominato Yahoo compliance guide for law enforcement del 23 dicembre 2008 (reperibile qui), è stato redatto allo scopo di consentire al governo USA di comprendere quali dati Yahoo può fornire dai propri database e logs. Ovviamente ciò ha un costo. Lo ha per Yahoo, come per Google, come per tutti gli altri fornitori di servizi. Ogni compagnia ha i suoi tariffari. I dati degli utenti non sono quindi preziosi solamente dal punto di vista commerciale, ma possono rivelarsi un businness anche se richiesti da forze dell'ordine ed istituzioni varie. Come sappiamo, non sempre tali richieste sono legittime, esse possono essere effettuate da agenti governativi intenti a sopprimere oppositori di regime, così come da poliziotti che cercano di risolvere un caso di rapimento. Inotre spesso e volentieri FBI, CIA e compagni si rivolgono direttamente al fornitore di servizi per avere i dati che servono loro, senza richiedere un mandato, con la scusa della lentezza della burocrazia ecc., quindi ledendo il diritto del cittadino di far valutare da un giudice l'opportunità di essere spiato o meno. Ne consegue che le compagnie IT hanno un doppio interesse a conservare e fornire i dati dei propri utenti, sia quando la richiesta è legittima, che quando non lo è. La mancanza di trasparenza e di tutela della privacy è evidente. Ciò che esse non considerano, è che così come gli utenti fanno grande una società, la possono anche affossare. Con questa consapevolezza, anche noi tutti possiamo far valere il nostro diritto alla privacy.
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