Foxconn, la fabbrica dei suicidi.

Inviato da harvey lomax il Mer, 06/02/2010 - 17:54
Argomento
In Italia ultimamente sono venuti alla ribalta molti casi di incidenti mortali sul lavoro, con conseguenti considerazioni sulla sicurezza ed annesse polemiche.Vi sono però luoghi sulla terra, dove il lavoro non è solo causa diretta di morte, ma anche indiretta. Si muore di mal di lavoro. Che non è da confondersi con la voglia di non far niente. Molti pesi dell'Asia costituiscono la principale risorsa produttrice di beni che vanno dai componenti elettronici ai giocattoli, dall'abbigliamento alle attrezzature sportive, e tanti altri. Più volte in passato si è discusso di palloni da calcio cuciti da bambini di 7 anni in remoti villaggi dell'Indocina, o di computer smontati pezzo per pezzo da poveracci in Bangladesh, senza nessuna protezione da tutte le sostanze cancerogene e velenose che ne costituiscono la componentistica, tanto per fare un esempio. Risalto sui mass media, polemiche e poi? Forse i bambini ritratti in quelle foto non cuciono più palloni, ma saranno da qualche parte a cucire tute da ginnastica. Le multinazionali, sia dell'Occidente che dell'Oriente, sfruttano letteralmente la manodopera dei paesi meno sviluppati, pagando salari molto bassi e costringendo a turni massacranti anche giovani che per legge non potrebbero ancora lavorare. Le associazioni dei consumatori e di difesa dei diritti umani e civili fanno ciò che possono, e talvolta si riesce anche ad ottenere qualche risultato, quando si trova un interlocutore disposto a parlarne. E' questa una storia risaputa, che periodicamente torna alla ribalta. La Foxconn Technology Group (富士康科技集團) è una multinazionale di Taiwan che produce componenti per pc ed altri dispositivi elettronici. E' una delle maggiori produttrici al mondo. Tra i suoi acquirenti, Apple, Dell, HP e Nokia. Come tante altre aziende di Taiwan, le fabbriche e la manodopera si trovano in Cina. Questioni di costi. Le infrastrutture costano molto meno sul continente, per non parlare degli operai. Non esistono sindacati, e quando ci sono, le aziende fanno di tutto per impedire ai lavoratori di associarsi e riunirsi, anche a Taiwan, spesso con metodi piuttosto subdoli; non di rado all'atto di assunzione vengono fatte sottoscrivere clausole in tal senso: se ti va così bene, altrimenti vai da un'altra parte. In Cina poi o fai ciò che ti dicono o muori di fame, ed è quasi sempre inutile rivolgersi alle autorità locali, spesso corrotte fino al midollo e che vengono pagate direttamente dalle industrie che desiderano fare il proprio comodo. Tornando alla Foxconn, la società è giunta alla ribalta in queste settimane a causa dell'elevato numero di suicidi di dipendenti, tredici sino ad ora, più un imprecisato numero di tentativi. Da più parti si specula sulle motivazioni. Giovani fragili che giungono dalle campagne, non ancora sufficientemente maturi per affrontare la dura vita di fabbrica, o forse contrasti con colleghi. Perché nessuno dice chiaro e tondo che lavorare nelle fabbriche in Cina è quasi sempre un inferno? A chi piacerebbe lavorare 12 ore al giorno o più, sei o sette giorni alla settimana, per di più pagati solo qualche decina di euro? E non venite a dire che lì la vita costa meno! Operai che lavorano come schiavi in piccoli spazi sotto una lampadina, con lo sguardo fisso sempre sugli stessi componenti, ad avvitare sempre le stesse viti, ad incollare sempre lo stesso pezzo. Gente che vive in dormitori simili a formicai, senza alcuna privacy, in letti a castello, gomito a gomito con sconosciuti. Lavoratori a contatto con sostanze tossiche senza le adeguate protezioni, senza diritto ad una propria vita, ad affetti, che pure talvolta riescono a nascere fra le putride mura dei capannoni piuttosto che tra le immacolate pareti delle nuove industrie. Gente che non lavora per vivere, ma che è costretta a vivere solo per lavorare. Schiavi del secondo millennio, di cui tutti sappiamo. Gli unici che sembrano non saperlo sono i dirigenti di Foxconn e delle grandi industrie che in quelle fabbriche vedono creati i componenti dei loro dispositivi, rivenduti in tutto il mondo con montagne di profitti. La maggiore preoccupazione di Terry Gou (郭台銘), chairman dell'azienda taiwanese, sembra essere quella di vedere macchiata la reputazione della propria compagnia a causa di quegli idioti di dipendenti che non hanno niente di meglio da fare che suicidarsi. Una visita turistica alle facilities dell'azienda con tanto di giornalisti al seguito per mostrare quanto si tenga alla propria manovalanza e quanto lo standard sia superiore a quello di altre compagnie, sarà servito forse come specchio per le allodole, ma non a chi da tempo ha smesso di credere a Babbo Natale. Proteste si sono sollevate ad Hong Kong, come a Taiwan, dove al Computex 2010, la famosa fiera dell'IT che si tiene a Taipei, ha visto oggi il tentativo di alcuni attivisti di richiamare l'attenzione sulla vicenda da parte del presidente Ma Ying-jeou e dei rappresentanti delle industrie ivi presenti. "Non siamo una fabbrica di dolciumi", avrebbe detto l'ineffabile Terry Gou (郭台銘), le cui lacrime di coccodrillo scorrevano copiose durante una conferenza stampa tenutasi a Taiwan nei giorni scorsi. Ma anche i media locali non ne parlano come un benefattore dell'umanità. Secondo gli stessi organi d'informazione taiwanesi, negli stabilimenti della Foxconn vige una disciplina quasi militare, i lavoratori non si possono nemmeno recare in bagno senza permesso, forzati fino allo stremo come nel caso di un operaio deceduto apparentemente per fatica, dopo un turno di 34 ore, stando almeno a quanto dichiarato dai suoi parenti. Gli stessi attivisti che hanno protestato in questi giorni lo hanno ribadito, le condizioni di lavoro negli stabilimenti di Shenzhen della Foxconn sono terribili. Tutto ciò non sembra turbare più di tanto i sonni del management, che come soluzione al problema ha pensato ad un opuscolo, che potete trovare qui, in cui prima si invitano i lavoratori a manifestare i propri problemi alle associazioni degli stessi e ad una casella reclami, per poi divenire una liberatoria che il dipendente deve firmare, in cui ci si impegna a non suicidarsi e a non denunciare l'azienda in alcun caso!! Sono cose da pazzi, che nemmeno in Italia, paese famoso per molteplici bizzarrie, ci sogneremmo di fare. Poi, come misura tecnico-logistica, è stato deciso di installare reti di protezione per evitare che qualcuno si butti nuovamente da un tetto, Come se non esistessero altri metodi per togliersi la vita. Per finire, la beffa dell'aumento salariale, che tra l'altro pare fosse deciso già da un po' di tempo, del 20%, o del 30% come riportano altre fonti. Circa 20 euro in più per decidere di non ammazzarsi. Secondo quanto riportato da AFP, un impiegato anonimo della Hon Hai Precision, proprietaria di Foxconn, avrebbe dichiarato: "Con l'aumento di stipendio, ci auguriamo che i lavoratori non abbiano bisogno di fare tanti straordinari e quindi avere più tempo per lo svago e un ambiente di lavoro più felice". Con 20 euro in Cina ci si può comprare un paio di scarpe, non di lusso, on di marca, decenti. Magari fatte da qualche altro operaio sfruttato in qualche altra fabbrica. Come quelli che fabbricano mouse e webcam per Microsoft, HP, Samsung, Foxconn, Acer, Logitech ed altri alla fabbrica KYE, sempre in Cina. Lavoranti che operano anche per 15 ore al giorno, sei o sette giorni alla settimana. Ragazzi anche di 16-17 anni, che costano poco e che finiscono stremati sul loro banco di lavoro. Non ci credete? Guardate queste fotografie e questo report! Nelle fabbriche di tutto il mondo si muore. E c'è qualcuno che pensa che venti euro ed una pacca sulle spalle possano risolvere il problema. Foxconn è solo uno dei tanti esempi possibili, ma la responsabilità non è limitata ad essa. Nonostante i maggiori contractors abbiano dichiarato di voler inviare ispettori per verificare le condizioni dello stabilimento, è lapalissiano che troveranno poco o niente. Ispezioni annunciate e concordate non portano a nessun risultato, e così la catena di montaggio andrà avanti come sempre. E poco male se ogni tanto qualcuno ci finirà dentro. Con buona pace di noi consumatori che ce ne laviamo le mani perché boicottare l'acquisto non serve a niente, di politici e legislatori perché nello stato dell'economia globale un intervento solitario è inutile. Eppure qualcosa possiamo fare: parlarne. Perché l'opinione pubblica ha una sua forza, e la si può utilizzare quantomeno per fare pressione su chi si arricchisce sul sangue altrui. Oggi abbiamo visto quali sono le condizioni di lavoro in certi luoghi. Ancora ci chiediamo perché alcuni emigrano in Italia o in altri paesi, anche a costo di una forzata clandestinità, paghe per il nostro standard molto basse, anche a rischio del carcere? Voi cosa fareste?