La censura di stato su internet, ovvero quando anche la torta di mele diventa un argomento scottante

Inviato da harvey lomax il Ven, 02/19/2010 - 17:24
Argomento
Molti ritengono che la censura su internet sia appannaggio di paesi ove vige una dittatura, più o meno dichiarata. Paesi come l'Iran, l'Arabia Saudita, la Cina. Eppure non è così. Anche nazioni cosiddette democratiche utilizzano filtri che impediscono agli utenti di internet di accedere a diversi siti. Come sappiamo, siti a carattere pedopornografico vengono puntualmente censurati in Europa e USA; siti che incitano all'odio razziale, piuttosto che siti esplicitamente nazisti che vengono oscurati in Germania; in Cina anche i siti a carattere pornografico sono vietati, come anche in diversi altri paesi colpiti da "fervore" religioso. Una lista di paesi sotto osservazione per via della censura è disponibile, come abbiamo più volte sottolineato su queste pagine, sul sito di Reporters sans frontiers. Anche l'Italia censura siti come quelli per le scommesse online, che non pagando le tasse allo stato italiano in quanto non residenti sul patrio suolo, sono invisi ai monopoli e pertanto vengono dichiarati "non sicuri". Oppure siti come The Pirate Bay, un famoso tracker bittorrent, ovvero un motore di ricerca per rintracciare sulla rete files di vario genere, parte dei quali protetti da copyright, e pertanto inviso alle lobbies dell'intrattenimento, che sono riuscite a farlo oscurare, benché non fosse situato in Italia. I pretesti in genere utilizzati per tentare di inibire l'accesso ad un sito sono quindi diversi, dalla pedopornografia al terrorismo, dalla violazione del diritto d'autore alla pornografia. Dietro a queste argomentazioni, più o meno valido, si nasconde comunque una volontà di controllo da parte delle autorità statali, che con la scusa del terrorismo tentano via via di introdurre norme sempre più restrittive e che consentano legalmente di filtrare i contenuti sulla rete. Leggi presentate come armi contro il terrorismo o la pedopornografia all'uomo della strada, consentono in realtà una grande libertà d'azione, finendo per esempio col consentire di utilizzare gli stessi mezzi anche per presunti reati/violazioni molto meno rilevanti, oppure che danno fastidio a qualcuno. Non è poi tanto difficile far oscurare un sito dove si parla di qualcuno in termini non propriamente benevoli, per diffamazione. Pensiamo a quante volte sui social networks come Facebook si sono letti commenti non propriamente lusinghieri nei confronti di un certo personaggio italiano, e subito i suoi compagni di partito hanno richiesto la censura di quelle pagine. Quanto spesso si tenta di castrare la libertà d'espressione con la diffamazione? Siamo giunti persino al punto che persone inquisite o addirittura condannate possono denunciare per diffamazione chi scrive di fatti conclamati e noti a tutti! E se chi scrive non ha la potente protezione legale che può assicurare un quotidiano nazionale o una televisione, deve stare bene attento! Di questo passo, non si potrà più scrivere o dire alcunché. Già ora i governi di varie nazioni cosiddette democratiche tentano di assicurarsi il controllo sull'unico canale d'informazione realmente libero, ovvero internet. Parlare male di questo o quell'altro personaggio viene equiparato a diffamazione, qualunque argomento inviso ad un governo può essere censurato, e quando diciamo qualunque, intendiamo realmente qualunque, non solamente siti che inneggiano al guerra santa o simili. Un esempio di questo tipo di censura ci viene da un paese famoso per le sue bistecche di canguro e per gli inutili filtri che tenta di imporre su internet: l'Australia. Recentemente il governo del paese dei marsupiali ha richiesto a Google, reduce tra l'altro dal conflitto che l'ha visto opposto al governo cinese per questioni di censure ed altro, di rimuovere da Youtube, il famoso sito di video sharing, alcuni filmati non graditi al governo australiano. Si incitava al massacro degli aborigeni? No! Si inneggiava alla guerra santa contro la Nuova Zelanda? No! Si richiedeva la liberalizzazione della pedofilia? No! Semplicemente si trattava di video che parlavano di eutanasia, un argomento che evidentemente il governo di Canberra giudica altrettanto pericoloso quanto il terrorismo. Fortunatamente Google ha rifiutato. L'eutanasia è uno degli argomenti che rientrano nella lista nera del governo australiano, i cui contenuti furono pubblicati tempo fa dal siti Wikileaks.org, e che annoverano altri argomenti veramente scottanti come ad esempio i graffiti sui muri nelle città! La lista nera dovrebbe essere introdotta nella legislazione locale e costringerebbe gli stessi fornitori di connettività ad impedire l'accesso ai siti contenuti nella lista. La richiesta a Google è stata fatta da Stephen Conroy, ministro per le comunicazioni, come si legge sul Telegraph: un passo delle dichiarazioni del ministro dovrebbe farci riflettere: "What we're saying is, well in Australia, these are our laws and we'd like you to apply our laws" - "Google at the moment filters an enormous amount of material on behalf of the Chinese government; they filter an enormous amount of material on behalf of the Thai government." E' chiaro il concetto?